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18 ottobre 1970-18 ottobre 2020: 50 anni di storia del PalaSport Primo Carnera

14 Ottobre 2020

Domenica 18 Ottobre 1970 il campionato italiano di pallacanestro serie A iniziò con un anticipo teletrasmesso fra APU Snaidero e All’Onestà Milano. L’incontro si svolse al Palazzo dello Sport intitolato a Primo Carnera, inaugurato ufficialmente per l’occasione. Queste notizie sono sufficienti a descrivere l’importanza a livello nazionale dell’evento.

Fu il secondo grande balzo in avanti “tecnologico/edilizio” nella storia della pallacanestro della città e della provincia di Udine, seguendo a tredici anni di distanza il primo grande passo con la costruzione, per iniziativa CONI, del Palazzetto dello Sport di Via Marangoni, terminato nel 1957 e oggi intitolato alla memoria dell’allora Presidente Provinciale del Comitato Olimpico Nazionale Manlio Benedetti.

Se gli sport di squadra sono una fede, le singole squadre una religione e gli impianti sportivi i loro luoghi di culto, il Palasport Carnera sta all’impianto di Via Marangoni, come una cattedrale metropolitana sta a una pieve paleo-cristiana. E questa a sua volta raccolse, ordinò e diede veste unitaria e organica a riti cestistici praticati in modo spontaneo in luoghi chiusi piuttosto angusti e mal attrezzati (la palestra di Largo Ospedale Vecchio) o più spesso aperti, ma comunque poco accoglienti nella brutta stagione come gli oratori/ricreatori (del Carmine-Porzio, di San Giuseppe-USUP, di Chiavris, del Brunetta-R.F.U, dell’Asquini, di San Gottardo, di San Osvaldo…), ancora oggi percepiti come vere e proprie culle del mito cestistico udinese.

Gli anni dopo il 1957 furono anni di crescita straordinaria del movimento cestistico udinese. In particolare l’APU femminile, dopo un secondo posto nel 1957-58, vinse ben tre campionati consecutivi, con un record di 58 vittorie e 3 sole sconfitte (una all’anno). L’epopea si concluse nel campionato 61-62 con un altro secondo posto. Al contrario, nonostante gli sforzi del presidente dell’epoca Dino Bruseschi, perlomeno nel primo periodo il settore maschile non ottenne le stesse soddisfazioni. Sfiorò infatti ripetutamente la promozione dalla seconda alla prima serie, senza riuscirvi. L’obiettivo fu raggiunto solo con l’arrivo alla metà degli anni 60 di una sponsorizzazione fornita da Rino Snaidero, titolare dell’omonima azienda di cucine componibili allora in una fase di grande espansione. Persuaso della bontà di un investimento pubblicitario in una fase di eccezionale crescita dell’economia (in particolare dei consumi di beni durevoli), Snaidero, dapprima cautamente poi con sempre maggior vigore, decise di raggiungere l’obiettivo che non era riuscito a Bruseschi. Allestì nel 1967-68 una squadra formidabile, trascinata dal fuoriclasse Nino Cescutti. Vinto il campionato di serie B nel 1967-68, riuscì nei due anni successivi a raggiungere il non facile obiettivo della permanenza in serie A, allora a sole 12 squadre, favorito non poco dall’atmosfera caldissima e dal tifo ribollente dell’impianto di Via Marangoni, allora stracolmo in ogni ordine di posti (capienza max poco più di mille persone). Nel primo campionato di serie A (1968-69) il bilancio finale fu di 11 vittorie (10 delle quali fra le mura amiche) e 11 sconfitte, più che lusinghiero per una neopromossa. Nella successiva annata 1969-70 fu lievemente peggiore con 9 vittorie totali (ancora una sola in trasferta) e 13 sconfitte con un margine di sicurezza comunque netto sulla zona retrocessione.  

La pallacanestro era diventata nel frattempo il primo sport cittadino. Totem ancora oggi mitico di quella squadra, l’americano Joe Allen, detto il divino mammuth, per la sua stazza imponente a cui accoppiava, a dispetto di un ginocchio malandato cinto da una vistosissima ginocchiera, una incredibile gamma di movimenti velocissimi e acrobatici sotto canestro. Questa atmosfera spinse il Comune di Udine a progettare e realizzare rapidamente nella zona dei Rizzi un nuovo Palasport con capienza di oltre 5 mila posti, per l’epoca un vero e proprio gioiello.

Galvanizzato dall’esito delle prime due stagioni nella massima serie e dalla disponibilità del nuovo Palasport, Snaidero decise di puntare più in alto: l’obiettivo diventò ora quello di insediarsi immediatamente alle spalle della terna lombarda dominante Milano-Varese-Cantù e magari puntare al podio, se non addirittura allo scudetto. La prima mossa per la stagione della nuova cattedrale fu, coerentemente con i nuovi ambiziosi obiettivi, affidare la panchina al prestigioso coach Nello Paratore che negli anni 60 aveva guidato la nazionale italiana in ben tre olimpiadi consecutive con ottimi risultati. I risultati non furono pari alle attese: come nella stagione precedente si registrarono 9 vittorie e 13 sconfitte e ciò determinò l’interruzione del rapporto con Paratore.

Fra le altre sconfitte anche quella nella domenica d’esordio contro All’Onestà Milano, quarta forza di quel campionato. Il nuovo palasport fu comunque sempre gremito e Snaidero continuò caparbiamente a inseguire il suo sogno. Richiamato al posto di Paratore lo sloveno Boris Kristancic, il coach della promozione dalla B alla A e della salvezza nel primo anno di massima serie, acquistò proprio dall’Onestà una coppia di nazionali: il pivot Bovone e il play Cosmelli, e cercò di tesserare come nuovo straniero il formidabile jugoslavo Cresimir Cosic (detto Creso), miglior giocatore europeo dell’epoca. Maturato nel frattempo il giovane Malagoli e tornato alla base (dopo tre anni trascorsi a Varese) il carnico Paschini, altro lungo di buon livello, la squadra sembrava poter ambire ai primi posti, ma la Federazione mise i bastoni fra le ruote impedendo, con un cavillo burocratico, il tesseramento di Cosic. Fra un equivoco e un pasticcio si giocò così quasi l’intero campionato senza straniero; ciononostante la squadra in versione all Italia si fece rispettare raggiungendo un buon quinto posto con 11 vittorie e 11 sconfitte.

Capocannoniere uno stupefacente Bovone con 488 punti. Cosa si sarebbe potuto fare con l’aggiunta di Cosic? Rimane una domanda senza risposta, ma l’esito comunque soddisfò Snaidero, che l’anno successivo (1972-73) si trovò obbligato a sostituire coach Kristancic costretto a tornare in patria da motivi extra sportivi. Niente paura: lo sostituirà Ezio Cernich, tempestivamente assunto per dare nuovo impulso al settore giovanile. Cernich  collaboratore fra i più fidati di Giancarlo Primo, al settore squadre nazionali godeva fama di formidabile preparatore di giovani. Con uno straniero di medio valore (David Hall) la squadra raggiunse un onorevole quarto posto (12 vittorie e 14 sconfitte), dietro il solito terzetto lombardo. I due ultimi campionati confortarono Snaidero; il Palasport Carnera era sempre stracolmo; l’azienda, anche con il traino della sponsorizzazione andava a gonfie vele; l’obiettivo di uno stabile posizionamento alle spalle delle tre grandi era stato confermato; i rapporti con i poteri federali erano ottimi; le squadre giovanili erano in rapido sviluppo e negli anni successivi furono in grado di contendere a Milano la leadership italiana nel settore. Nel 1973 però la “crisi petrolifera” innescò una forte recessione economica e Snaidero ne approfittò per un audace esperimento: scelse come capo allenatore Luisito Trevisan, di origini udinesi, pluriscudettato nel settore femminile. Purtroppo il trapianto non riuscì. Il bolognese Beppe Lamberti, subentrato a Trevisan all’inizio del girone di ritorno riuscì a raggiungere solo agli spareggi una sofferta salvezza. Lo spavento indusse Snaidero a puntare il tutto per tutto per raggiungere il suo sogno. Accanto ad un nucleo italiano molto valido, si decise l’inserimento del formidabile Jim Mc Daniels, all’epoca l’americano più quotato che avesse mai calcato i nostri parquet. L’entusiasmo salì alle stelle. Udine sfondò già in precampionato ogni record di presenze nel Palasport, si riempirono persino le scalinate; le cucine Snaidero e Mc Daniels campeggiavano in prima pagina in tutte le riviste femminili; i giornali sportivi pregustavano nuovi duelli al vertice con la fine del monopolio lombardo. Ma ahimè anche stavolta il progetto non andò a buon fine: la squadra rimase addirittura esclusa dalla poule scudetto.

Qui forse finirono i sogni anche se la cattedrale rimase a registrare ancora tanti momenti di entusiasmo e gesta di fuoriclasse. Tra i presidenti ricordiamo Dario Snaidero, Marzona, Fiorini, Cainero, Rizza, Edi Snaidero e l’attuale Presidente dell’Amici Pallacanestro Udinese Alessandro Pedone. Tra i tecnici, invece, De Sisti, Guerrieri, Nikolic, Toth, Mangano, Messina, Pancotto, Sacchetti, Lardo oltre alla coppia Boniciolli-Martelossi in sella per questa annata e tralascio i non pochi tecnici udinesi a conferma di una scuola di primo livello (oltre a Cernich, Blasone, Bardini, Piccin e il sottoscritto).

Ma il senso di sconfinato ottimismo che si respirava quel 18 ottobre di 50 anni fa è difficile da ricreare. Però intanto siamo qui a raccontare queste vicende e chissà che le lontane gesta (ormai quasi leggendarie) di presidenti, dirigenti, tecnici e giocatori non ispirino un ritorno di fiamma; la cattedrale, eventualmente rimodernata, tornerebbe allora come per incanto a splendere più bella che mai, o forse sorgerà un nuovo tempio magari dalla distruzione del vecchio come abbiamo letto sui libri di storia delle religioni. Chi vivrà vedrà! Con un grande in bocca al lupo per la stagione imminente agli Amici Pallacanestro Udinese (notate bene lo stesso acronimo dell’Associazione Pallacanestro Udinese APU di 50 anni orsono!).

Flavio Pressacco (Presidente Associazione culturale-sportiva Amici del Palasport Benedetti)